CABARET
La stagione 2015/2016 ha visto la Compagnia della Rancia impegnata con un nuovo allestimento di CABARET, spettacolo molto caro a Marconi, che mancava dalla circuitazione nei teatri da oltre vent’anni (l’edizione 2006/2007 aveva toccato infatti solo Milano e Roma) e che ha debuttato, con oltre 10 minuti di applausi e unanime consenso di pubblico e critica, come spettacolo inaugurale della 29ma edizione del Todi Festival.
Un ruolo completamente differente per Giampiero Ingrassia/Maestro di Cerimonie, il personaggio che prende vita solo sul palcoscenico del Kit Kat Klub. È il filo conduttore che rappresenta l’aspetto ludico della storia – vuole che tutti si lascino travolgere dall’atmosfera licenziosa del locale e si divertano per dimenticare i problemi che esistono realmente – e allo stesso tempo quello ambiguo e stravagante. Un Maestro di Cerimonie ammiccante, ammaliante, tentatore, che apre agli spettatori le porte del club berlinese, sempre pronto a ridere e scherzare, ma con una morale corrotta e decadente, sottolineata anche dal trucco sapiente (un misto tra Joker, il Corvo e il cantante dei Kiss Gene Simmons), una maschera che trasuda inquietudine. Ingrassia si cimenta in un ruolo complesso e dalle mille sfaccettature: recita ma soprattutto canta, con un momento di particolare intensità in “I don’t care much/Non importa”. E nell’invito del Maestro di Cerimonie agli spettatori ad affrontare la realtà e ad abbandonare l’indifferenza è racchiuso il senso profondo dello spettacolo: “Vi emozionerete, piangerete, sicuramente, e vi farete molte domande”.
Fragile ed evanescente, Sally Bowles (Giulia Ottonello) è la giovanissima stella del club berlinese “che splenderà più di una stella” e inizia una relazione tempestosa con il giovane romanziere americano in cerca di ispirazione Cliff Bradshaw (Mauro Simone). E, mentre Sally sogna di diventare una grande attrice, fuori dalla porta del trasgressivo Kit Kat Klub il mondo va in frantumi.
Nella Berlino dei primi anni Trenta, sullo sfondo dell’avvento del nazismo, si intrecciano così le storie degli altri personaggi mentre sulla Germania, e sulle vite di tutti, sta per abbattersi la furia hitleriana. “La vita è un cabaret”, canta Sally Bowles sul finale dello spettacolo, ma nel celeberrimo brano – cui Giulia Ottonello dona straordinaria vocalità e, allo stesso tempo, profonda drammaticità – esplodono i tormenti, le aspirazioni fallite, il tentativo di cercare spensieratezza anche quando il dramma incombe.
Saranno le ultime battute di Cliff a preludere al tragico epilogo: “C’era un cabaret ed un presentatore e una città chiamata Berlino in un paese chiamato Germania, ed era la fine del mondo”. E per il Maestro di Cerimonie non resta che una parola: “Auf Wiedersehen”.
Questo nuovo allestimento di “Cabaret” (il terzo per la Compagnia della Rancia dopo le edizioni del 1992 e del 2007) è amaro, duro, toccante: è teatro nel teatro.
“Cabaret” vanta una colonna sonora straordinaria, a diritto entrata nel patrimonio dei musical grazie a brani intramontabili come “Wilkommen”, “Money”, “Maybe This Time” (Questa volta) e “Life is a cabaret” (La vita è un cabaret).
Lo spettacolo è stato in tour anche nella stagione 2016/2017.
NOTE DI REGIA
Se per tre volte, nel corso della mia carriera, ho deciso di mettere in scena “Cabaret”, è perché in tre periodi differenti della mia vita, lontani e diversi tra loro, ho sentito la necessità di guardare (e far guardare) oltre il sipario del Kit Kat Klub.
Uno spettacolo che conosco molto bene, e a cui tengo molto, che questa volta, dimenticati i riferimenti al film, ho messo in scena “come voglio io”, con una nuova e profonda sincerità nell’affrontarlo. Una lettura più dura, con alcuni momenti di teatro nel teatro, molto più attuale, dunque, che costringerà gli spettatori a mettersi di fronte alla tendenza di oggi a lamentarsi, senza però mai reagire per cambiare davvero.
Ho pensato e firmato a quattro mani con Gabriele Moreschi una scenografia che “abbraccia” il palcoscenico, una pedana, un vecchio sipario, le tavole consumate e intrise di memoria: è così che ogni sera si rievoca un periodo storico, attraverso quella musica, quelle storie che – come in un girotondo schnitzleriano – continuano ancora oggi il loro racconto, senza soluzione di continuità e di emozioni. Insieme a un cast straordinario, raccontano di un’indifferenza colma di paure ed egoismo, con la speranza che, al prossimo giro, per una volta vinca il coraggio di affrontare la realtà.
A 25 anni di distanza da “A Chorus Line”, siamo tornati a debuttare al Todi Festival, proprio da dove ci eravamo affacciati sulla scena teatrale italiana. 25 anni in cui il mondo, fuori e dentro i teatri, è cambiato. Ma c’è una cosa che non è cambiata e credo che questo sia un tema che non muore mai: l’indifferenza della gente che non si occupa (o preoccupa) di quello che gli succede intorno se non ne viene toccata direttamente. Allora nacque il nazismo, oggi cosa nascerà?
Saverio Marconi
Promo dello spettacolo
ESTRATTO WILKOMMEN